Facebook e risarcimento del danno: quando il social network deve risarcire l’utente ingiustamente sospeso

È sicuramente destinata a far discutere la pronuncia della Corte d’Appello di L’Aquila n. 1659/2021 con la quale i giudici abruzzesi, in parziale conferma della sentenza di primo grado, hanno condannato il noto social network Facebook a risarcire il danno cagionato ad un utente ingiustamente sospeso.

La vicenda sottoposta all’attenzione dei giudici ha ad oggetto il profilo di Tizio, reo, secondo l’azienda irlandese, di aver pubblicato plurimi post contrari agli “standard della comunità”; da qui, la sanzione della temporanea sospensione applicata direttamente dal social network, anche più volte.

Contro tale decisione, Tizio ha proposto ricorso per ottenere la condanna di Facebook al risarcimento del danno morale, nello specifico danno relazionale (danno non patrimoniale), lui cagionato dal social network mediante le plurime sospensioni dell’account.

Il Tribunale ha accolto la domanda presentata e ha perciò condannato l’azienda irlandese a risarcire Tizio, utente danneggiato.

Contro la pronuncia, il social network ha proposto ricorso in appello. Questo è stato parzialmente accolto.

Il ragionamento che il giudice di secondo grado pone a fondamento della propria decisione risulta essere il seguente.

In primo luogo, viene affrontata la questione della giurisdizione, posto che, come noto, la sede di Facebook è locata in Irlanda, mentre, nel caso di specie, l’utente asseritamente danneggiato risulta essere residente in Italia. Tuttavia, il Giudicante riconosce la propria giurisdizione (e perciò la conseguente capacità di conoscere della controversia) dal momento che la normativa sovranazionale, segnatamente quella europea, riconosce la competenza del Giudice nel cui stato ha la residenza l’utente consumatore.

In secondo luogo, il Giudice dell’appello si interroga sulla natura del rapporto intercorrente tra un utente e il social network.

La corte, a tal proposito, condivide l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza in forza del quale l’utente, al momento della sua iscrizione al social network, sottoscrive un contratto per adesione. Tale contratto è poi a prestazione corrispettive: “dal lato dell’utente vanno individuate nella concessione a (…) della facoltà d’uso dei dati personali [omissis] e, dal lato del gestore, nella messa a disposizione di strumenti che consentono ali utenti di connettersi fra di loro, creare community e far crescere aziende” (Corte Appello L’Aquila 1659/2021). Oltre a ciò, il contratto stipulato tra utente e Facebook ha anche natura onerosa, dal momento che anche la prestazione, gravante sull’utente, ha contenuto patrimoniale: invero, secondo i Giudici, la concessione che l’utente fa al social network di utilizzare i propri dati (la cui protezione, in forza della normativa europea, è considerata un diritto fondamentale dell’uomo) è suscettibile di valutazione patrimoniale, in quanto “il contenuto patrimoniale di una prestazione può ritenersi sussistente anche in questi casi in cui vengono ceduti, a titolo di corrispettivo per un servizio, beni diversi dal denaro che, per la potenzialità di sfruttamento commerciale, divengono suscettibili di una valutazione in chiave economico – patrimoniale” (Corte Appello L’Aquila 1659/2021).

Chiarito tanto, in terzo luogo, la Corte d’Appello analizza la natura dei poteri di rimozione dei post e di sospensione che, per contratto, spettando per l’appunto al social network. Ebbene, i Giudici ritengono che le clausole relative all’attribuzione di tali poteri non abbiano natura vessatoria, in quanto è da ritenersi “non priva di ragionevolezza (ed anzi posta a tutela del sinallagma) la previsione in capo al proprietario e gestore del social network sul quale si manifestano le varie personali opinioni o si condividono contenuti del diritto di verificare che ciò avvenga nel rispetto dei valori condivisi posti alla base dell’adesione, chiarendosi come il successivo controllo giurisdizionale in ordine all’esercizio in concreto del potere di autotutela debba certamente essere volto alla verifica del rigoroso rispetto dei diritti delle parti, onde evitare abusi…[omissis] Essa quindi non può considerarsi vessatoria perché non rientra tra le clausole che pongono in capo all’aderente «limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto» (art. 1341 c.2 c.c.), ma afferisce alla normale regolamentazione del contratto e non impedisce di sollevare le eccezioni che virgola in un contratto individuale, potrebbero proporsi” (Corte Appello L’Aquila 1659/2021).

Tuttavia, il potere di autotutela che discende dalla sottoscrizione del contratto con il social network non è smisurato, ma incontra limiti ben precisi, dal momento che esso non può atteggiarsi come strumento per limitare la libertà degli utenti di manifestare il proprio pensiero: “l’esercizio in concreto di tali poteri non deve sfociare in comportamenti apertamente violativa della sfera di libertà espressiva che, dietro concessione dell’autorizzazione all’uso di propri dati sensibili e non gratuitamente, costituisce il contenuto tipico e virgola per così dire, la ragion d’essere dell’adesione ad una piattaforma di questo tipo, la cui funzione è appunto quella di consentire agli utenti di esprimersi e condividere contenuti per loro importanti” (Corte Appello L’Aquila 1659/2021).

Ne discende che allora quelle manifestazioni del pensiero, ancorché censurabili e non condivisibili, che però non travalicano il limite della “rispettosa manifestazione del pensiero” (Corte Appello L’Aquila 1659/2021) e che non siano denigratorie e/o sprezzanti, non possono costituire motivo sufficiente perché il social network possa esercitare i poteri di rimozione e sospensione che, per contratto, gli sono riconosciuti. Al contrario, tale esercizio deve essere considerato illegittimo e arbitrario, ragion per cui ne consegue il danno cagionato all’utente e il successivo risarcimento. In definitiva, secondo i Giudici della Corte d’Appello di L’Aquila, la manifestazione del pensiero sul social network Facebook “deve essere consentita ove fine a sé stessa” (Corte Appello L’Aquila 1659/2021).